Quando mentiva guardava sempre fisso negli occhi di chi la stava ad ascoltare. Quando diceva la verità abbassava lo sguardo timidamente. Le piaceva guardare fuori dal finestrino del treno i cantieri delle case in costruzione e fantasticava sulle vite delle persone che le avrebbero abitate. Le vecchiette con la schiena ricurva che impacchettavano le alghe nel mercato di Nishikoji-dori le facevano tenerezza. Aspettava sempre con impazienza la prima neve, come una bambina.
Faceva freddo a Kyoto. E il vento ogni tanto le alzava la gonna. I calzini bianchi erano perfettamente incollati sui polpacci, e Michiko aveva soltanto le guance un po’ arrossate. Al santuario Kiyomizu ci era arrivata per caso camminando tra le viuzze del quartiere Yasaka. Alle cinque aveva appuntamento in una caffetteria con un’amica, ma quel pomeriggio si era ritrovata con del tempo da perdere ed era uscita di casa con la largo anticipo.
“Non voglio suicidarmi. Non credo di farcela da sola. Voglio soltanto un po’ morire”. Così le aveva detto l’amica al telefono. Aveva singhiozzato e pianto e farfugliato raccontandole la fine di un amore lungo sette anni, ma quando aveva pronunciato quella frase Michiko aveva percepito un’impassibilità che le aveva dato i brividi.
“Mi chiederà di ucciderla?” si chiese sdraiandosi sul tatami, fissando una macchia di muffa sul soffitto. “Prima ho provato a passarmi una lametta sulla pelle del polso. Lì la pelle è talmente bianca e sottile. Vedevo perfettamente le vene che avrei dovuto tagliare e cercavo di spingere sempre più forte. Non provavo nulla. Credo di avere prosciugato tutte le sensazioni di dolore”. Michiko aveva davanti agli occhi quei polsi sottili. Li aveva visti più volte. Li preferiva senza bracciali, perché nudi erano ancora più eleganti. Ma non riusciva a immaginarli lacerati da una lametta e con i lembi di pelle rossi di sangue.“E poi? Ti sei fermata, vero?”, chiese temendo che stesse parlando mentre il sangue le gocciolava dalle vene ricadendole sui vestiti. “Sì, mi sono fermata. Mi devi aiutare”.
La salita che portava al santuario era come ogni giorno gremita di persone. C’erano molti turisti stranieri, e Michiko fissò per qualche secondo una ragazza bionda che scattava delle foto alle riproduzioni in plastica dei coni gelato. Aveva un buffo cappello di lana. Non era una scena troppo insolita, ma la curiosità ingenua di quella ragazza bionda la fece sorridere un po’.
Quando andava al Kiyomizu si soffermava sempre qualche minuto a osservare la grande porta rossa. La conosceva in ogni dettaglio. Ma quel pomeriggio il rosso le metteva un senso d’inquietudine nello stomaco. “Cosa vuole che faccia per lei?” continuava a domandarsi. “Mi chiederà di spogliarla, di riempire la vasca da bagno, di tagliarle i suoi bellissimi polsi e tenerle le mani dentro l’acqua calda fino a quando la sua testa ricadrà senza vita sulle spalle e vedrò il suo corpo immerso in un tiepido liquido rossastro?”. “Mi chiederà di legarle le mani, e di sdraiarla su letto, guardare il suo sguardo triste e intenso per l’ultima volta, e poi toglierle il respiro con un cuscino?”. “Mi chiederà di stringere il suo collo snello e delicato con tutta la forza che riesco a trovare nelle mie gracili mani…”. Non riusciva a pensare di commettere il delitto senza toccare il corpo dell’amica. Non l’avrebbe aiutata a prendere una dose massiccia di tranquillanti, e non le avrebbe cucinato il pesce palla. Per Michiko togliere la vita da quel corpo era possibile solo toccando il corpo stesso.
Arrivata all’edificio principale del santuario Michiko non poteva fare a meno d’immaginarsi mentre toglieva la vita alla sua amica. Non era turbata per questo. Il fatto in sé non le recava il minimo disturbo. Ciò che le strozzava lo stomaco era che in tutte le sue fantasie si vedeva sorridere. Sorrideva eccitata. Un sensazione di morbosa euforia le corse lungo la schiena quando pensò che quel santuario poteva essere l’ultimo luogo che lei e l’amica vedevano insieme. Sentì vibrare il cellulare nella tasca della gonna. “Sono al Kiyomizu. Puoi raggiungermi qui”.“L’abbraccerò, le accarezzerò i capelli, le bacerò i polsi. La spingerò giù. Da qui saranno almeno venti metri. Il suo corpo colpirà i pali di legno, e i rami secchi degli alberi graffieranno la pelle del suo viso e delle sue braccia. La vedrò da qui, sdraiata sulla ghiaia con il collo e le gambe piegate…”
“Eccomi! Scusa per il ritardo!”
“Non ti preoccupare. Riposati un po’, stai ansimando!”
“Già! Ho fatto tutta la salita di corsa… ho bisogno di parlarti!”
“Lo so… Prendi fiato. Hai pianto ancora vero? Hai gli occhi gonfi…”
“ Sì. Ho pianto in metropolitana”.
“Ti devo aiutare, vero?”
“Io non ce la faccio da sola. E questa è una cosa troppo grande per me”.
Michiko abbassò lo sguardo e fissò una venatura del pavimento di legno della piattaforma dove stavano parlando.
Ancora con gli occhi bassi sussurrò:“Io ti voglio bene. E farei qualsiasi cosa per te. Se non ci riesci da sola ti ucciderò io…”.
L’aria fredda e densa si sciolse in una risata.
“Uccidermi?! Ti ringrazio tanto per questo pensiero gentile ma non voglio che tu mi uccida!”.
Le fantasie di Michiko si sciolsero di colpo nel suo stomaco.
“E allora? Cosa vuoi che faccia?” chiese. Non aveva il coraggio di guardare l’amica negli occhi.
“Lo so che non ti piace questo tipo di divertimento, ma… vorrei che mi accompagnassi a Tokyo. Voglio andare a Disneyland!”
“Disneyland…” sussurrò Michiko.
“Staremo una settimana! Ho già prenotato lo shinkansen… ci divertiremo!”
“Disneyland…” sussurrò Michiko.
“Lo so… lo so… è una cosa infantile, ma devo sgombrare un po’ la testa! Vorrei averla vuota almeno per qualche giorno”.
Michiko stava fissando la ghiaia a venti metri d’altezza. Se si concentrava riusciva a distinguere un singolo sassolino dall’altro. Volse lo sguardo sulle mani dell’amica, poi sui polsi, sulle braccia, le spalle, i capelli neri e folti, e infine gli occhi. Quello sguardo intenso che avrebbe saputo spengere una volta per tutte le sembrava ora del tutto vuoto. Il volto della sua amica si dissolse nella maschera di Mickey Mouse, e un sorriso storto comparve sulle labbra di Michiko, che fissando l’amica dritta negli occhi disse:
“Accompagnarti a Disneyland non può altro che farmi piacere…”
Scritto qualche mese fa, sollecitata da un amico che mi chiese un racconto sul mio viaggio in Giappone...
Mi piace questo racconto.
A te?
1 commento:
A me sì... è particolare, e bello.
Posta un commento