Ieri sera sono stata all'Istitituto Giapponese di Cultura per un'altra serata cinematografica!
Come da programma si è svolta la tavola rotonda "L'anti-cinema di Ozu", che è il titolo del libro scritto dal regista Yoshida Kiju e tradotto in italiano da Doi Hideyuki (professore all'Università di Tokyo in Firenze). Tuttavia la serata si è incentrata tutta sull'opera di Yoshida e sull'attrice Okada Mariko, entrambi presenti in sala.
L'introduzione e i convenevoli di rito anche questa volta sono toccati al direttore dell'Istituto Giapponese di Cultura, Takada Kazufumi. Gli ospiti sono stati ulteriormente introdotti dallo stesso Doi, da Donatello Fumarola (critico cinematografico) e Marco Mazzi (critico e videoartista). Per problemi familiari non è stato presente Enrico Ghezzi.
Ha iniziato a parlare Fumarola, sempre attento a pescare nell'aria (con calma...pure troppa) la parola giusta (per un manuale di critica cinematografica) per esprimere concetti che il povero Doi ha dovuto cercare in qualche modo di tradurre in giapponese per Yoshida. Ma queste sono considerazioni personali. Passiamo ai fatti. Il placido Fumarola aveva già incontrato tre anni fa la coppia Yoshida-Okada giunta in Italia (in cinque città) per una retrospettiva completa delle opere del regista. Fumarola ha anticipato anche che la coppia sarà ospite a Parigi dopo Pasqua per una rassegna di 19 film del regista...sembra che la coppia di artisti abbia con la capitale francese un rapporto speciale (Yoshida vi ha soggiornato per cinque anni, e la sua formazione dipende molto dalla Francia, come dirà in seguito lo stesso regista). leggendo il libro "L'anti cinema di Ozu" Fumarola si è chiesto se ciò che ha scritto Yoshida non sia tanto un libro sul cinema di Ozu, quanto piuttosto un'auto-biografia. Raccontando il cinema (o l'anti-cinema) del grande regista giapponese, Yoshida in realtà traccia il suo percorso di cineasta, descrive il suo rapporto con il cinema, con gli altri registi e la case di produzione della cosiddetta "nouvelle vague" giapponese, la sua idea di cinema...sempre utilizzando Ozu come uno "specchio".
Su Yoshida il più animato (!) Mazzi ha raccontato invece un aneddoto. Due anni fa lo ha incontrato e lo ha intervistato in un ristorante. Non era proprio un felice momento per Mazzi, perchè gli era presa una colica, e non riusciva a mangiare niente. Stare lì in un ristorante, con le portate davanti, simulando il mangiare, gli faceva pensare di recitare una scena cinematografica. Manifestato questo pensiero a Yoshida, il regista ha commentato: "L'immagine non esiste. Ciò che inseguo durante la lavorazione dei miei film non è l'immagine, ma la parola. L'immagine sfuma rispetto alla parola". La parola. Questa secondo Mazzi è il cuore e la pelle di molti film di Yoshida. Nonostante questo il regista può essere definito anche un filosofo dell'immagine, perchè durante gli anni '60 ha percorso strade di pensiero inedite per quegli anni, e che sono attuali, o comunque suscitano interesse anche ai giorni nostri. Yoshida si forma con la filosofia francese (con quella di Sartre in particolare), ed è interessato all'esistenzialismo, ai primi germi del post-modermo, alla cultura del '900, rimanendo tuttavia legato alla sua cultura, quella del paese dal quale proviene.
Secondo Mazzi il film Akitsu Onsen (Le terme di Akitsu) offre un giusto approccio all'intera opera di Yoshida. Nel cast ha una figura fondamentale (la Okada e il personaggio di Shinko) per il suo concetto di femminilità, e nel film è presente secondo il critico anche un accenno di "anti cinema" attraverso un semplice concetto: una donna presa dal dolore per la sconfitta in guerra della propria nazione piange, e con le sue lacrime risana un uomo. Il pianto della donna diventa la forza vitale dell'uomo. L'interpretazione della Okada in questo film riesce a sintetizzare la complessa rappresentazione del femminile, e per l'attrice questa è una delle interpretazioni più riuscite. Il film è anche importante perchè delinea nel cinema giapponese un inizio, un'alba di post-modernismo, con alcune rotture rispetto al passato (come ad esempio nella scelta da parte del regista di voler far sentire la voce dell'Imperatore che tramite la radio annuncia la resa giapponese quando invece altri registi avevano preferito darne notizia in silenzio, ad esempio riprendendo pagine di giornali). Questa rottura è presente anche in altri film di Yoshida, come in "Donne allo specchio", film che parla del bombardamento atomico senza mai parlare della bomba atomica e delle sue devastazioni, ma raccontando tutto ciò che è stato l'atomica attraverso il racconto del significato che l'atomica ha avuto nelle vite delle donne protagoniste.
Dopo l'introduzione dei due giovani critici italiani, la parola è andata a Yoshida e alla Okada, tradotti in simultanea da Doi.
Dopo i convenevoli di rito, Yoshida ha ringraziato Mazzi e Fumarola, esprimendo la sua gioia nell'averli incontrati anche perchè quando nel 1960 lui realizzò il suo primo film probabilmente i due non erano ancora nati, e l'interesse di gente giovane per il suo lavoro non può far altro che renderlo felice. Il racconto di Yoshida è iniziato con una domanda: chi è il regista? Cosa c'è dietro il mestiere del regista? La passione per il cinema? Per Yoshida è pericoloso dare una definizione del proprio lavoro, la propria opera. Il cinema spetta tutto all'immaginazione dello spettatore, il suo cinema non appartiene a sè, e quindi non tenta nemmeno di dare una definizione del suo cinema.
Per Yoshida e per la stessa Okada il cinema all'inizio non fu una passione, ma un caso. Yoshida ricorda che da bambino, prima della guerra, andava al cinema insieme alla madre a vedere i film di John Ford con John Wayne, e ricorda che la madre gli diceva, guardando i primi piani, le inquadrature ad esempio delle mani di Wayne, che forse quelle non erano proprio le mani di quell'attore. L'iniziazione del piccolo Kiju al cinema è stata che il cinema è una bugia, è finzione. E da piccolo non aveva la minima idea di entrare a far parte di quel mondo di illusioni.
Nel 1945, poco prima la fine della guerra, Fukui, la città dove Yoshida era nato e dove viveva, venne bombardata. Yoshida aveva 12 anni, la sua famiglia venne dispersa, e si verificò un fatto che lo segnò per tutta vita, e che segnò il suo lavoro di regista. Dopo il bombardamento l'istinto spinse Yoshida a fuggire, a cercare tra le macerie delle altre case e tra i morti per le strade la sua casa. Non sa come sia riuscito a sopravvivere a quei giorni, ma forse la sua sopravvivenza fu dovuta alla scoperta di avere due occhi, due sè: un occhio sapeva come fare, come andare avanti, c'era un altro è che lo aiutò a sopravvivere. Per Yoshida i film che lui ha realizzato nella sua carriera appartengono a se stesso, ma sono i film fatti dall'altro sè, e nella sua concezione di cinema, oltre al fatto che i suoi film vengono definiti dallo spettatore, lo spettatore stesso ha un altro sè, oltre a quello cosciente. Il cinema quindi per Yoshida è un dialogo, una conversazioni tra i due sè nascosti, quello del regista e quello dello spettatore.
Dopo questo primo monologo del regista è intervenuta l'attrice Okada Mariko. Lei stessa confessa che all'inizio non voleva per niente diventare attrice. Non era sua intenzione. Perse il padre che aveva appena un anno, e solo molti anni dopo scoprirà che suo padre era una star del cinema muto, che aveva lavorato con il regista Ozu in cinque film. Scoprì questa pesante eredità solo guardando per caso un film di Mizoguchi Kenji dove lavorava il padre. A quel tempo per via della guerra era rifugiata in Niigata. Tornata a casa la madre le confessa che il padre era stata al suo tempo un grande attore. Lì per lì non le venne la voglia di seguire le orme di suo padre, ma l'ambiente in cui era cresciuta; stimolante da un punto di vista artistico, la indirizzo verso quella strada. Si iscrisse ad una scuola di recitazione. Dopo appena una settimana partecipò ad un provino e la scritturarono subito per il suo primo ruolo da protagonista in "Maihime" (La Ballerina, 1951), film tratto dal romanzo di Kawabata Yasunari "Izu no odoriko" (La ballerina di Izu). Il suo esordio da attrice giunse quindi per caso. Il suo nome d'arte lo scelse lo scrittore Tanizaki Jun'ichiro, proprio come fece per suo padre anni prima. Secondo la Okada il suo debutto non andò bene, e fu solo grazie all'incoraggiamento della madre che continuò a recitare. Il film "Akitsu Onsen" è il film numero 100 nella carriera della Okada, che tuttavia lo interpretò giovanissima, aveva (come anche Yoshida) appena 29 anni! E' stato un film da lei fortemente voluto e cercato. Era da molto tempo che voleva fare Akitsu Onsen, ma non ce n’era mai stata l’occasione perchè era tratta da un molto difficile da trasporre in film. Aveva lettola sceneggiatura del primo film di Yoshida, Rokudenashi (Buono a nulla, 1960), e l'aveva colpito molto. Ha subito pensato di voler fare un film con lui, prima o poi. Quando ha esposto il suo progetto alla Shōchiku (la casa di produzione per la quale lavorava il regista) le hanno subito detto che Yoshida avrebbe rifiutato perché lavorava solo su sceneggiature originali. Ma lei continuato a insistere. Alla fine è stato lui a convincerla a fare “il suo Akitsu Onsen”. Lei ha accettato e hanno girato il film. La Okada ha anche prodotto questo film, e sarà proprio Akitsu Onsen ad aprire la rassegna cinematografica di Parigi.
Riprende la parola Yoshida, secondo il quale ascoltare Okada che parla è sempre emozionante. Continua raccontando la sua vita. Nel dopoguerra s'iscrisse all'università scegliendo come indirizzo di studi la letteratura francese (scriverà una tesi su Sartre). Voleva davvero studiare, ma le condizioni economiche in cui versava la sua famiglia allora non gli permettevano di farlo e anzi tutta la società giapponese in quel periodo era poco stabile. Allora decise di cercare un lavoro. Rispose ad un annuncio di lavoro della casa di produzione Shōchiku (a quel tempo non c'era ancora la televisione e il cinema era in pieno boom e gli studi di produzione cercavano personale). All'annuncio risposero 2600 persone, ma solo 8 vennero assunti, tra cui Yoshida. Si rese conto che c'era un divario enorme tra lui e il cinema e doveva quindi partire da zero per colmare questo divario cercando di rispondere anche alla domanda: cosa è il cinema per me? Lui non aveva dei modelli a cui ispirarsi per cercare di farsi un'opinione in ambito cinematografico, e forse questo è ciò che gli ha permesso di riflettere al meglio sulla sua idea di cinema, rendendolo in un certo senso più forte di chi s'ispira a qualcuno nella sua opera. Quando andava al lavoro o all'università, vedeva da treno i cartelloni pubblicitari dei film, e la Okada era già un'attrice famosa. Fu un'altra coincidenza che lo fece emergere come regista dopo appena cinque anni di gavetta come aiuto-regista. Alla fine degli anni '50 la televisione aveva preso piede e il cinema stava vivendo un periodo di crisi. Le case di produzione decisero di puntare tutto su giovani registi esordienti, tra cui Yoshida e un giovane Oshima Nagisa. La casualità che regna sovrana nella carriera e nella vita di Yoshida è stata trasformata via via in necessità, e solo adesso a più di 70 anni Yoshida può affermare con serenità che il cinema lo ha accettato.
Per Yoshida il film akitsu Onsen è più della Okada che suo. Per lui si trattava del quarto film, ed aveva 29 anni come la giovane Okada. Nel film s'incontrano due giovani, un uomo e una donna. Tra i due nasce una storia, un legame che dura per 17 anni, nonostante s'incontrino solo per quattro volte. Racconta quegli anni non tanto con realismo, tuttavia Yoshida si augura che noi spettatori riusciamo ad intravvedere quegli anni del dopoguerra anche se appartengono ad un paese diverso e distante dal nostro. E ci lascia con una domanda: una storia d'amore in cui i due protagonisti s'incontrano solo in quattro momenti e per pochi giorni può essere davvero amore? E' amore l'amore che non è continuo e quotidiano? Yoshida non si pronuncia, spetta a noi definire ciò che lui ha reso come film.
Per me è stato il primo film di Yoshida, e dopo le premesse che hanno fatto il regista e la Okada devo dire che mi è piaciuto di più vederlo. In effetti ci sono molti dialoghi (alcuni anche divertenti per le situazioni in cui vengono detti), e la colonna sonora era davvero onni-presente, anche in qualche scena in cui c'era già della musica suonata da una radio (se non ricordo male)...musica sulla musica, roba strana! Il film era a colori, sottotitolato in inglese sullo schermo, e a parte, sotto, c'erano i sottotitoli in italiano, partiti in anticipo all'inizio, poi si sono ripresi. Il giapponese però non era difficile (per chi lo sa, almeno...e per dirlo io....). Per molti aspetti mi ha ricordato "Il paese delle nevi" di Kawabata: le terme, l'incontro dei due a più riprese, la donna che regala qualcosa all'uomo in termini di voglia di vivere...insomma mi ha fatto piacere vederlo e mi è venuta una gran voglia di andare alle terme! Ecco!
Come da programma si è svolta la tavola rotonda "L'anti-cinema di Ozu", che è il titolo del libro scritto dal regista Yoshida Kiju e tradotto in italiano da Doi Hideyuki (professore all'Università di Tokyo in Firenze). Tuttavia la serata si è incentrata tutta sull'opera di Yoshida e sull'attrice Okada Mariko, entrambi presenti in sala.
L'introduzione e i convenevoli di rito anche questa volta sono toccati al direttore dell'Istituto Giapponese di Cultura, Takada Kazufumi. Gli ospiti sono stati ulteriormente introdotti dallo stesso Doi, da Donatello Fumarola (critico cinematografico) e Marco Mazzi (critico e videoartista). Per problemi familiari non è stato presente Enrico Ghezzi.
Ha iniziato a parlare Fumarola, sempre attento a pescare nell'aria (con calma...pure troppa) la parola giusta (per un manuale di critica cinematografica) per esprimere concetti che il povero Doi ha dovuto cercare in qualche modo di tradurre in giapponese per Yoshida. Ma queste sono considerazioni personali. Passiamo ai fatti. Il placido Fumarola aveva già incontrato tre anni fa la coppia Yoshida-Okada giunta in Italia (in cinque città) per una retrospettiva completa delle opere del regista. Fumarola ha anticipato anche che la coppia sarà ospite a Parigi dopo Pasqua per una rassegna di 19 film del regista...sembra che la coppia di artisti abbia con la capitale francese un rapporto speciale (Yoshida vi ha soggiornato per cinque anni, e la sua formazione dipende molto dalla Francia, come dirà in seguito lo stesso regista). leggendo il libro "L'anti cinema di Ozu" Fumarola si è chiesto se ciò che ha scritto Yoshida non sia tanto un libro sul cinema di Ozu, quanto piuttosto un'auto-biografia. Raccontando il cinema (o l'anti-cinema) del grande regista giapponese, Yoshida in realtà traccia il suo percorso di cineasta, descrive il suo rapporto con il cinema, con gli altri registi e la case di produzione della cosiddetta "nouvelle vague" giapponese, la sua idea di cinema...sempre utilizzando Ozu come uno "specchio".
Su Yoshida il più animato (!) Mazzi ha raccontato invece un aneddoto. Due anni fa lo ha incontrato e lo ha intervistato in un ristorante. Non era proprio un felice momento per Mazzi, perchè gli era presa una colica, e non riusciva a mangiare niente. Stare lì in un ristorante, con le portate davanti, simulando il mangiare, gli faceva pensare di recitare una scena cinematografica. Manifestato questo pensiero a Yoshida, il regista ha commentato: "L'immagine non esiste. Ciò che inseguo durante la lavorazione dei miei film non è l'immagine, ma la parola. L'immagine sfuma rispetto alla parola". La parola. Questa secondo Mazzi è il cuore e la pelle di molti film di Yoshida. Nonostante questo il regista può essere definito anche un filosofo dell'immagine, perchè durante gli anni '60 ha percorso strade di pensiero inedite per quegli anni, e che sono attuali, o comunque suscitano interesse anche ai giorni nostri. Yoshida si forma con la filosofia francese (con quella di Sartre in particolare), ed è interessato all'esistenzialismo, ai primi germi del post-modermo, alla cultura del '900, rimanendo tuttavia legato alla sua cultura, quella del paese dal quale proviene.
Secondo Mazzi il film Akitsu Onsen (Le terme di Akitsu) offre un giusto approccio all'intera opera di Yoshida. Nel cast ha una figura fondamentale (la Okada e il personaggio di Shinko) per il suo concetto di femminilità, e nel film è presente secondo il critico anche un accenno di "anti cinema" attraverso un semplice concetto: una donna presa dal dolore per la sconfitta in guerra della propria nazione piange, e con le sue lacrime risana un uomo. Il pianto della donna diventa la forza vitale dell'uomo. L'interpretazione della Okada in questo film riesce a sintetizzare la complessa rappresentazione del femminile, e per l'attrice questa è una delle interpretazioni più riuscite. Il film è anche importante perchè delinea nel cinema giapponese un inizio, un'alba di post-modernismo, con alcune rotture rispetto al passato (come ad esempio nella scelta da parte del regista di voler far sentire la voce dell'Imperatore che tramite la radio annuncia la resa giapponese quando invece altri registi avevano preferito darne notizia in silenzio, ad esempio riprendendo pagine di giornali). Questa rottura è presente anche in altri film di Yoshida, come in "Donne allo specchio", film che parla del bombardamento atomico senza mai parlare della bomba atomica e delle sue devastazioni, ma raccontando tutto ciò che è stato l'atomica attraverso il racconto del significato che l'atomica ha avuto nelle vite delle donne protagoniste.
Dopo l'introduzione dei due giovani critici italiani, la parola è andata a Yoshida e alla Okada, tradotti in simultanea da Doi.
Dopo i convenevoli di rito, Yoshida ha ringraziato Mazzi e Fumarola, esprimendo la sua gioia nell'averli incontrati anche perchè quando nel 1960 lui realizzò il suo primo film probabilmente i due non erano ancora nati, e l'interesse di gente giovane per il suo lavoro non può far altro che renderlo felice. Il racconto di Yoshida è iniziato con una domanda: chi è il regista? Cosa c'è dietro il mestiere del regista? La passione per il cinema? Per Yoshida è pericoloso dare una definizione del proprio lavoro, la propria opera. Il cinema spetta tutto all'immaginazione dello spettatore, il suo cinema non appartiene a sè, e quindi non tenta nemmeno di dare una definizione del suo cinema.
Per Yoshida e per la stessa Okada il cinema all'inizio non fu una passione, ma un caso. Yoshida ricorda che da bambino, prima della guerra, andava al cinema insieme alla madre a vedere i film di John Ford con John Wayne, e ricorda che la madre gli diceva, guardando i primi piani, le inquadrature ad esempio delle mani di Wayne, che forse quelle non erano proprio le mani di quell'attore. L'iniziazione del piccolo Kiju al cinema è stata che il cinema è una bugia, è finzione. E da piccolo non aveva la minima idea di entrare a far parte di quel mondo di illusioni.
Nel 1945, poco prima la fine della guerra, Fukui, la città dove Yoshida era nato e dove viveva, venne bombardata. Yoshida aveva 12 anni, la sua famiglia venne dispersa, e si verificò un fatto che lo segnò per tutta vita, e che segnò il suo lavoro di regista. Dopo il bombardamento l'istinto spinse Yoshida a fuggire, a cercare tra le macerie delle altre case e tra i morti per le strade la sua casa. Non sa come sia riuscito a sopravvivere a quei giorni, ma forse la sua sopravvivenza fu dovuta alla scoperta di avere due occhi, due sè: un occhio sapeva come fare, come andare avanti, c'era un altro è che lo aiutò a sopravvivere. Per Yoshida i film che lui ha realizzato nella sua carriera appartengono a se stesso, ma sono i film fatti dall'altro sè, e nella sua concezione di cinema, oltre al fatto che i suoi film vengono definiti dallo spettatore, lo spettatore stesso ha un altro sè, oltre a quello cosciente. Il cinema quindi per Yoshida è un dialogo, una conversazioni tra i due sè nascosti, quello del regista e quello dello spettatore.
Dopo questo primo monologo del regista è intervenuta l'attrice Okada Mariko. Lei stessa confessa che all'inizio non voleva per niente diventare attrice. Non era sua intenzione. Perse il padre che aveva appena un anno, e solo molti anni dopo scoprirà che suo padre era una star del cinema muto, che aveva lavorato con il regista Ozu in cinque film. Scoprì questa pesante eredità solo guardando per caso un film di Mizoguchi Kenji dove lavorava il padre. A quel tempo per via della guerra era rifugiata in Niigata. Tornata a casa la madre le confessa che il padre era stata al suo tempo un grande attore. Lì per lì non le venne la voglia di seguire le orme di suo padre, ma l'ambiente in cui era cresciuta; stimolante da un punto di vista artistico, la indirizzo verso quella strada. Si iscrisse ad una scuola di recitazione. Dopo appena una settimana partecipò ad un provino e la scritturarono subito per il suo primo ruolo da protagonista in "Maihime" (La Ballerina, 1951), film tratto dal romanzo di Kawabata Yasunari "Izu no odoriko" (La ballerina di Izu). Il suo esordio da attrice giunse quindi per caso. Il suo nome d'arte lo scelse lo scrittore Tanizaki Jun'ichiro, proprio come fece per suo padre anni prima. Secondo la Okada il suo debutto non andò bene, e fu solo grazie all'incoraggiamento della madre che continuò a recitare. Il film "Akitsu Onsen" è il film numero 100 nella carriera della Okada, che tuttavia lo interpretò giovanissima, aveva (come anche Yoshida) appena 29 anni! E' stato un film da lei fortemente voluto e cercato. Era da molto tempo che voleva fare Akitsu Onsen, ma non ce n’era mai stata l’occasione perchè era tratta da un molto difficile da trasporre in film. Aveva lettola sceneggiatura del primo film di Yoshida, Rokudenashi (Buono a nulla, 1960), e l'aveva colpito molto. Ha subito pensato di voler fare un film con lui, prima o poi. Quando ha esposto il suo progetto alla Shōchiku (la casa di produzione per la quale lavorava il regista) le hanno subito detto che Yoshida avrebbe rifiutato perché lavorava solo su sceneggiature originali. Ma lei continuato a insistere. Alla fine è stato lui a convincerla a fare “il suo Akitsu Onsen”. Lei ha accettato e hanno girato il film. La Okada ha anche prodotto questo film, e sarà proprio Akitsu Onsen ad aprire la rassegna cinematografica di Parigi.
Riprende la parola Yoshida, secondo il quale ascoltare Okada che parla è sempre emozionante. Continua raccontando la sua vita. Nel dopoguerra s'iscrisse all'università scegliendo come indirizzo di studi la letteratura francese (scriverà una tesi su Sartre). Voleva davvero studiare, ma le condizioni economiche in cui versava la sua famiglia allora non gli permettevano di farlo e anzi tutta la società giapponese in quel periodo era poco stabile. Allora decise di cercare un lavoro. Rispose ad un annuncio di lavoro della casa di produzione Shōchiku (a quel tempo non c'era ancora la televisione e il cinema era in pieno boom e gli studi di produzione cercavano personale). All'annuncio risposero 2600 persone, ma solo 8 vennero assunti, tra cui Yoshida. Si rese conto che c'era un divario enorme tra lui e il cinema e doveva quindi partire da zero per colmare questo divario cercando di rispondere anche alla domanda: cosa è il cinema per me? Lui non aveva dei modelli a cui ispirarsi per cercare di farsi un'opinione in ambito cinematografico, e forse questo è ciò che gli ha permesso di riflettere al meglio sulla sua idea di cinema, rendendolo in un certo senso più forte di chi s'ispira a qualcuno nella sua opera. Quando andava al lavoro o all'università, vedeva da treno i cartelloni pubblicitari dei film, e la Okada era già un'attrice famosa. Fu un'altra coincidenza che lo fece emergere come regista dopo appena cinque anni di gavetta come aiuto-regista. Alla fine degli anni '50 la televisione aveva preso piede e il cinema stava vivendo un periodo di crisi. Le case di produzione decisero di puntare tutto su giovani registi esordienti, tra cui Yoshida e un giovane Oshima Nagisa. La casualità che regna sovrana nella carriera e nella vita di Yoshida è stata trasformata via via in necessità, e solo adesso a più di 70 anni Yoshida può affermare con serenità che il cinema lo ha accettato.
Per Yoshida il film akitsu Onsen è più della Okada che suo. Per lui si trattava del quarto film, ed aveva 29 anni come la giovane Okada. Nel film s'incontrano due giovani, un uomo e una donna. Tra i due nasce una storia, un legame che dura per 17 anni, nonostante s'incontrino solo per quattro volte. Racconta quegli anni non tanto con realismo, tuttavia Yoshida si augura che noi spettatori riusciamo ad intravvedere quegli anni del dopoguerra anche se appartengono ad un paese diverso e distante dal nostro. E ci lascia con una domanda: una storia d'amore in cui i due protagonisti s'incontrano solo in quattro momenti e per pochi giorni può essere davvero amore? E' amore l'amore che non è continuo e quotidiano? Yoshida non si pronuncia, spetta a noi definire ciò che lui ha reso come film.
Per me è stato il primo film di Yoshida, e dopo le premesse che hanno fatto il regista e la Okada devo dire che mi è piaciuto di più vederlo. In effetti ci sono molti dialoghi (alcuni anche divertenti per le situazioni in cui vengono detti), e la colonna sonora era davvero onni-presente, anche in qualche scena in cui c'era già della musica suonata da una radio (se non ricordo male)...musica sulla musica, roba strana! Il film era a colori, sottotitolato in inglese sullo schermo, e a parte, sotto, c'erano i sottotitoli in italiano, partiti in anticipo all'inizio, poi si sono ripresi. Il giapponese però non era difficile (per chi lo sa, almeno...e per dirlo io....). Per molti aspetti mi ha ricordato "Il paese delle nevi" di Kawabata: le terme, l'incontro dei due a più riprese, la donna che regala qualcosa all'uomo in termini di voglia di vivere...insomma mi ha fatto piacere vederlo e mi è venuta una gran voglia di andare alle terme! Ecco!